(L’OCCHIAIA. 100.)

Ormai prossimo alla vetta, non senza qualche difficoltà, avanzo saltabeccando sulle rocce affioranti dal pianoro per non calpestare – cosa di cui i due alle mie spalle, un uomo barbuto e brontolone e una donna silenziosa dai capelli di un ondoso castano scuro, non si curano affatto – l’origano in piena fioritura che profuma l’aria. Avanziamo e niente e nessuno ci pare possa ostacolare quest’avanzare deciso e invece, giunte fin quassù da ogni dove brucando le allettanti azzurrità mattutine, innumerevoli nuvole con forme d’animali da bestiario medioevale convergono e si addensano minacciose sopra la Montagna: tra un po’ diluvierà! Torniamo indietro ripercorrendo in tutta fretta il sentiero accidentato che migliaia di passi più tardi ci riaffida ai selciati, ahinoi, già luccicanti di pioggia del paesino giù a valle. Ragion per cui, muovo le braccia proprio come se fossero ali e mi sollevo dal suolo…  ed è oltremodo eccitante sfrecciare, gareggiando con le rondini, ad un palmo scarso dai tetti di queste casupole, slalomeggiare tra i pali della segnaletica stradale, afferrare al volo un Super Santos calciato in alto da Qualcuno là sotto, atterrare sull’asciutto davanti alla donna e posare gli occhi nei suoi giusto un istante prima che lei li abbassi sulle mie pantofole…

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