DUE GIORNI (1)

 

 

in maniche di camicia nella sala della casetta di A. G dorme, la porta chiusa. fa freddo. il camino è spento. il cielo coperto. a letto alle tre e trenta, nella notte. usciti con il cane, seduti sulle panche di pietra accanto al forno. le nuvole impedivano la vista delle stelle. non c’è un rumore, nota lei. non un gufo. solo il verso dei ghiri, o di qualche altro animale.

l’aria ferma, siamo entrati dentro il bosco sul sentiero, dove il cane si è liberato.

 

la cima delle montagne è coperta dalle nuvole. il cielo è grigio in modo uniforme. sento il ticchettio della pendola cucù. dalla finestra vedo P che indossa una giacca colorata. e il balcone della casa e le piante sotto il balcone.

 

questa notte con la porta aperta, è entrato dentro casa un ragno giallo. era impacciato sul pavimento di pietra. mi dice di avere fotografato ragni molto grandi nelle loro ragnatele. lo dice fuori mentre il suo cane si rotola sull’erba. quando torniamo a casa, dice, ha odore di erba.

 

in bagno il suo costume nero appoggiato al termosifone. sento il suo odore dolce e odore di urina. pantaloni lunghi, calze di lana. vorrei domandarle perché non indossa calze da donna e mi manca il coraggio di farlo.

 

nel bosco rumore di castagne che piombano giù dagli alberi.

 

mi chiama continuamente. si difende. siamo soli nella casetta vicina alla casa grande. dormo sul soppalco dove il tetto è inclinato e c’è un lucernario. G dorme nella camera matrimoniale con le imposte chiuse. per me la luce è importante. a lei sembra indifferente.

 

guardo i miei dipinti appesi alla parete senza cornice. le parti del volto sembrano depositate per caso dal pennello e non dove dovrebbero essere ma un po’ scostate. sembrano forme involontarie. forse dove devono trovarsi. il resto è stato imposto dal desiderio di fare una figura.

 

P si muove avanti e indietro nel giardino. anche se lui lavora senza il desiderio di farlo.

 

con il solo cappotto addosso rabbrividisco. mi sono coperto questa notte con il pile nero sopra il plaid di lana. le frange del plaid mi toccavano la faccia. i piedi erano scoperti. i miei piedi grandi. ho dormito e non ricordo di avere sognato. ma il mio sonno non è stato tranquillo.

 

ieri sera si è ingozzata di pizza. poi si è distesa sul divano e mi ha guardato.

 

in cucina ha scoperto la pancia. china davanti al camino le vedevo le mutande nere e la base nuda della schiena. volevo accarezzarla e mi è mancato il coraggio di farlo.

 

un rocchetto di filo bianco infilato in un perno della macchina da cucire. un rocchetto di filo blu. l’orologio a pendolo segna le undici e venti. mia madre è al mare. le ho chiesto di comprarmi un vestito e non sembrava contenta. ma ha detto, sono in pensione quindi non devi preoccuparti. mi ha fatto sentire incerto.

 

tutto qui denuncia l’operosità dei padroni di casa. accanto al cesso ci sono due flaconi di detergente. al mio fianco una macchina da cucire con un rocchetto di filo bianco. le ceste di vimini per la raccolta della legna. l’ordine di tutte le stanze. la scrivania occupata da libri, dispense e fogli. il giardino curato. una casa in costante attività, che mi permette di scrivere queste righe.

 

mi trovo a capotavola di un tavolo di legno lungo e stretto. dalla parte opposta la sedia a dondolo vuota dove sedevo ieri notte. in fondo alla stanza due divani e sulla parete due quadri. il soffitto è basso di travi dipinte di bianco. c’è una lanterna sottile appesa a un angolo. il pavimento è di pietra. la porta di cristallo. fuori una pianta con i fiori profumati e le foglie degli alberi contro la montagna.

 

ieri notte abbiamo guardato l’albero di pungitopo. è l’albero femmina, diceva G, perché fa le bacche. le ho guardate, ne ho presa una e l’ho rotta tra le dita. l’albero ha il tronco grosso. le sue foglie sono scure e lucide. mentre guardavo l’albero il cane andava in giro per il giardino.

 

adesso non sono solo. M è in cucina che lavora. ha portato qui sul tavolo un pacchetto di farina dove, dice, ci sono ragnatele. lo riporto, dice, l’hanno tenuto all’umido.

 

G dorme. il cane scende e M lo porta in giardino. la zia centenaria legge sul divano. guarda i miei dipinti, non le piacciono. perché ha smesso, dice, poteva migliorarsi. si appoggia a un bastone di legno. le sedie e il tavolo sono di legno.

 

M parla dei topi di campagna che sono entrati dentro casa. nella trappola è rimasto incollato un topolino. gli ha visto un tratto di coda. un altro è stato ucciso dal gatto che glielo ha portato cadavere. dei topi intrappolati si occupa P. devono essere uccisi.

è passato mezzogiorno. la stanza è fredda, il camino spento.

 

parlano G e zia E sedute sul divano. parlano di bambini. della bambina che G cura in questi giorni. del bambino di qualcuno precoce. di una bambina che non sa parlare e ha cinque anni.

poi G accende il fuoco nel camino. e pulisce lo sportello di cristallo sporco di fuliggine. pulisce senza fretta. ha movimenti lenti. porta pantaloni verdi e un maglione a righe nere e viola. ha raccolto i capelli. la zia dice che il bambino è di una

vivacità
fuori
misura, non sta fermo un momento. che hanno un appartamento al primo piano di duecento metri quadri. tutto moderno. in mezzo a un parco, con tanto verde intorno. a cracovia, che pronuncia gracovia.

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