TI DEVO UCCIDERE

La telefonata arrivò dopo parecchi anni. Verrei a trovarti. Il tono della voce era serioso, imperativo, non elastico, come sempre il tono della sua voce. Va bene, è successo qualcosa? Arrivo. Arrivò che era primavera e io stavo in dondola sotto il pergolato. Sudaticcio tranne gli occhi. I suoi sono nati di ghiaccio. Siediti e si sedette accanto sulla dondola. Ma che fa piangi? Io non ho mai pianto, ho l’allergia alla primavera e una lacrimosa congiuntivite. Che ti do? Una sigaretta, il viaggio è stato più lungo del previsto e mi sono finite. Un wiski? No. Mi fa piacere rivederti ma come mai questa improvvisata. Devo ucciderti. Un wiski? Si. La serata continuò così, sulla dondola, fumando bevendo sdottorando sulle scarpe che più ci piacciono, sulla destinazione d’uso della carta igienica. Non ho mai saputo perché mi ha ucciso.

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